Clan Casamonica, condanna per aggressione a due giornalisti a Roma

Roma, la Corte d’Appello ha confermato le condanne per tre membri del clan Casamonica, ritenuti colpevoli dell’aggressione nei confronti di due giornalisti durante l’operazione Gramigna, avvenuta nel luglio del 2018. I tre imputati dovranno scontare una pena di due anni di reclusione per violenza privata e minacce. Un quarto individuo è stato invece assolto, in quanto il suo ruolo è stato considerato marginale.
Roma, condanna per tre membri del clan Casamonica
I fatti risalgono a un episodio cruciale nella lotta contro la criminalità organizzata nella capitale. Durante un intervento della polizia finalizzato a smantellare le attività illecite del clan, i giornalisti Floriana Bulfon e Pier Giorgio Giacovazzo erano presenti per documentare gli arresti. La loro presenza non fu tollerata e furono aggrediti verbalmente, minacciati e colpiti con il lancio di bastoni. Questo atto intimidatorio rappresenta la volontà del clan di mantenere il controllo sul proprio territorio e impedire la diffusione di notizie scomode.
L’operazione Gramigna ha segnato una svolta significativa nella lotta alle mafie romane. Le forze dell’ordine hanno effettuato numerosi arresti, infliggendo un duro colpo alla struttura del clan Casamonica, attivo in estorsioni, traffico di droga e usura. Il quartiere storico di Porta Furba, sede principale del gruppo criminale, è diventato il palcoscenico di un’azione decisa dello Stato contro un’organizzazione considerata pervasiva e capace di esercitare un controllo capillare sul territorio.
Aggressione ai danni dei giornalisti
La sentenza d’appello sottolinea l’importanza della libertà di stampa. Il risarcimento dei danni è stato riconosciuto non solo ai due giornalisti vittime dirette dell’aggressione, ma anche alla Rai e alla Federazione Nazionale della Stampa Italiana, entrambe costituite parte civile. Questo rappresenta un chiaro messaggio: attaccare chi informa equivale a ledere il diritto dei cittadini a conoscere la verità.
L’aggressione subita da Bulfon e Giacovazzo è solo uno degli innumerevoli episodi che evidenziano le difficoltà nel raccontare la criminalità organizzata. La violenza contro i giornalisti si configura come una strategia intimidatoria volta a instaurare un clima di omertà e paura. La sentenza odierna dimostra che lo Stato non rimane passivo; la giustizia ha fatto il suo corso riconoscendo le responsabilità di coloro che tentano di silenziare con la violenza le voci dell’informazione.
L’esito del processo rappresenta un passo avanti nella difesa della libertà di stampa e nella lotta contro la criminalità organizzata. Il messaggio è inequivocabile: nessuno può arrogarsi il diritto di censurare la realtà attraverso minacce o intimidazioni. I giornalisti devono poter operare in sicurezza, senza timori legati a possibili ritorsioni. La vicenda romana ne è una testimonianza: anche dopo anni, la giustizia arriva e punisce coloro che cercano ostacolare il diritto-dovere all’informazione.
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